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Lettera a Mario Pratesi - Firenze
Lettera a Mario Pratesi - Firenze
[Cairo], 27 maggio 1871
Caro Mario, - cinque anni or sono a quest'ora io dicevo addio a te a Sigmond ad Agesilao nella stazione di Pisa, me ne veniva a casa mia mesto, sconsolato, ad altri addio dolorosi. Oggi, non più quel d'allora, ti scrivo come per commemorare con te quella giornata, e per chiamarti un'altra volta fratello. (...) Mai come nei giorni d'allegrezza, l'anima mia ha bisogno di piangere. Mi sono sposato ed ho voluto che ciò fosse il 5 maggio nell'ora in cui undici anni fa scendeva, solo in mezzo a una moltitudine d'ignoti, da Genova a Quarto. Perdonami se vengo sempre fuori con questi ricordi, che possono parere vantazione puerile: tu mi conosci e sai che non lo fo' per nulla, e sai che le date sono per me una sorta di religioso culto. Ebbene all'ora stessa io mi conduceva la mia donna semplicetta, e timida a sposarla, senza pompa, senza accompagnature, soli potrei dire, e pieni tutti e due di una mestizia dolcissima, che a me torna più cara e feconda di qualunque allegrezza. Feci il solo matrimonio civile: se ne parlò assai in paese, a me nessuno osò dir nulla. Ma caro Mario quale serio stato è quello dell'uomo ammogliato! Il solo pensiero di non essere più padroni della propri esistenza, basta a far mesti. Capisco ora, come uomini che hanno mogli adorabili e sante, dicono che non si ammoglierebbero un'altra volta.
Tu mi hai detto che, se io venissi a Firenze colla mia donna, ti sarebbe caro. Per ora non verrò, o se verrò mi vedrai solo. Mia madre ha bisogno d'assistenza, e mi terrebbe per ingrato, se le portassi via la sua infermiera. (...)
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